Informare sulla Disinformazione

Non sono la persona più qualificata per parlare di ricerca. Se si escludono le esperienze fatte alla scuola superiore non sono mai entrato in un laboratorio, in uno stabulario o in un centro di ricerca. Non ho mai assistito di persona a un test biomedico effettuato su animali, a una scansione cerebrale fmri, ad un sequenziamento genetico, all’analisi di un campione roccioso, ad un condizionamento comportamentale. Non ho mai messo alla prova una mia tesi attraverso l’attuazione di un protocollo sperimentale, non ho mai organizzato un doppio cieco, calcolato la rilevanza statistica dei dati numerici, operato la manipolazione di una variabile indipendente. Non ho mai provato sulla mia pelle la cauta concentrazione dell’osservazione, lo slancio della previsione, la trepidazione della sperimentazione, il trasporto della teorizzazione. Non sono un addetto ai lavori. La ricerca non è il mio lavoro. Non sono né esperto né navigato. Tuttavia da anni leggo e studio di scienza, rifletto sui suoi risultati, mi interrogo sul suo senso e parlo con persone che se ne occupano. Pian piano ho imparato ad amarla, a fidarmi di lei, e a capirla.
Il 19 settembre scorso ho partecipato alla manifestazione dei ricercatori in Piazza Montecitorio a Roma contro gli emendamenti apportati alla direttiva europea sulla sperimentazione animale dal parlamento, cui erano presenti oratori scientifici di spicco, come Elisabetta Dejana dell’IFOM, Michele Cilli dell’IRCCS, Alessandro Papale del San Raffaele e Giuliano Grignaschi dell’Istituto Mario Negri. È stato un incontro intenso, in parte per lo slancio emotivo derivato dall’identificarsi con una comunità di individui ugualmente interessati al benessere dei malati e all’indagine scientifica del mondo, in parte per l’eccitazione intellettuale dovuta all’eccellente divulgazione cui ero spettatore: ho scoperto come uno xenotrapianto di cellule tumorali umane su un topo possa aprire la strada ad una batteria di sperimentazioni farmacologiche capaci di individuare il trattamento migliore per il paziente; ho appreso la storia sperimentale della talidomide, prima e dopo il ritiro del 1961, e il motivo per cui così tante donne incinte sono giunte a farne uso nei tre anni in cui è stato in commercio; sono venuto a conoscenza della natura dei farmaci utilizzati per anestesie ed analgesie animali in laboratorio, della loro potenziale pericolosità, e del modo in cui tali sostanze devono essere dosate ed autorizzate in base alla situazione sperimentale. Posso dire che, a dispetto del quasi completo disinteresse dei media alla nostra presenza, la manifestazione sia stata un successo. E non mi son pentito di aver impiegato oltre nove ore ad arrivare a Roma, e altre nove ore per tornare a Milano. Tuttavia capisco benissimo che poche persone farebbero un tale sforzo per partecipare ad un evento organizzato nella capitale. Ugualmente, recarsi in una università o un certo di ricerca o in un museo o in una biblioteca per assistere ad una conferenza riguardante un qualsiasi argomento scientifico spesso è considerato dai più uno sforzo eccessivo, specie se non si possiedono i mezzi per scegliere cosa andare a seguire.
E allora? Il divario tra il mondo del laboratorio e quello delle persone è destinato a dilatarsi fino a diventare completamente insuperabile? Grazie a internet le comprensibili difficoltà ad accedere a materiale specifico circa ricerche e teorie, per chi ha interesse a capire i metodi e le aspirazioni della scienza, scompaiono.

1000962_388935267900625_1577675939_n (1)La manifestazione del 19 settembre
(che era anche il mio compleanno!)

Facciamo un esempio. Ancora prima che i media iniziassero a berciare sull’inesattezza delle equazioni di Einstein, in rete era già possibile trovare diverse dettagliate relazioni circa la situazione sperimentale che aveva condotto alle registrazioni anomale sulla velocità dei neutrini, che parevano aver superato la barriera della luce. Senza possedere delle conoscenze almeno sommarie sul funzionamento del moto delle particelle elementari sarebbe stato impossibile comprendere in profondità la questione, ma una scorsa all’articolo e una lettura attenta dell’abstract avrebbero reso chiunque più informato della maggior parte dei giornalisti che in seguito si sarebbero occupati dei servizi. Questo vale per qualunque realtà connessa alla ricerca. La maggior parte dei resoconti delle sperimentazioni in campo fisico, biochimico, genetico, medico, neuroscientifico, geologico e perfino psicologico sono a disposizione, in inglese, su riviste specialistiche e siti internet dedicati (come pubmed.com), e non per caso. L’intero impianto della ricerca poggia su meccanismi di condivisione e critica, per mezzo dei quali la comunità scientifica, prima di accogliere i nuovi risultati nel corpus di conoscenze condiviso, verifica la validità dei metodi sperimentali e la plausibilità delle conclusioni. Quindi, a questo punto, dall’impianto peer review, il materiale filtra all’interno del tessuto socio-informatico. Ogni giorno vengono caricati su youtube e siti affini decine di video di equipe che mostrano le procedure sperimentali molto da vicino, spesso accompagnate da dettagliati resoconti ad opera di voci fuori campo. I testi universitari, oltre a riportare le scoperte più famose e i modi in cui esse sono state raggiunte, contengono schede di approfondimento circa specifici settori di avanguardia, spesso scritte dagli stessi ricercatori che vi sono impegnati. Riviste prestigiose, come Science, Scientific American, Nature e Wired, rivolte ad un pubblico ampio ma acculturato, ogni mese propongono news, approfondimenti, riflessioni metodologiche, disamine storiche, interviste e commenti sulle prospettive future. I portali internet delle università di tutto il mondo pubblicano ciascun singolo passo avanti compiuto dai propri team di ricerca, e le discussioni dei risultati più importanti fanno il giro del web in poche ore, prelevate, tradotte, riassunte sia da testate giornalistiche sia da singoli blogger. E per finire grazie alla rete è possibile reperire con facilità praticamente tutte le opere di saggistica scientifica, quel preciso genere letterario che si propone di offrire al pubblico finestre di discussione circa il mondo della ricerca, in cui si senta forte la voce dell’autore e che contengano ampie sezioni speculative. Gli autori sono giovani audaci che riflettono sui progressi mozzafiato che la tecno-scienza ha in serbo per il prossimo futuro, oppure vecchi lupi di mare che raccontano i grandi sconvolgimenti che le loro discipline hanno attraversato, le epifanie, i punti i svolta, gli entusiasmi e le delusioni che hanno dovuto attraversare nella loro carriera. Si tratta di storie avventurose, vertiginose, per certi versi molto concrete, umane, per altri profondamente astratte, abbracciate alla filosofia.

Orientarsi nella complessità del materiale presente online è faticoso. Soprattutto se si pensa che i risultati della ricerca sono mischiati, spesso inestricabilmente, con quelli della falsa scienza, a cui i media adorano dare attenzioni, anche più che a quella ufficiale. La rete è un mondo specchio, che in pochi anni si è popolato della maggior parte delle figure e dei ruoli che sono sempre esistiti nella realtà fisica. Così, come l’universo austero e difficoltoso della ricerca ha trovato il suo spazio online, ed è riuscito ad utilizzare i mezzi digitali per amplificare la propria efficacia comunicativa, allo stesso modo ciarlatani, mitomani, profeti neo-oscurantisti e individui pesantemente disinformati hanno inondato internet di bufale, complotti e idee pseudoscientifiche – più facili da comprendere, più colorate, dalle forti note emotive, e inequivocabilmente false. In questo articolo porto l’esempio dell’omeopatia e della guerra agli OGM per esemplificare il mondo di fanatismo o oscurantismo che viene a generarsi quando alla buona informazione si sostituisce cattiva informazione.

Image3Se proprio devo scegliere ho maggior simpatia per
la religione che per la pseudoscienza.

Iniziamo. Se fossi un attivista di Greenpeace impegnato ad arringare una folla di vecchietti ai margini di piazza Duomo potrei trovarmi ad affermare una cosa come: “Signori, l’ingegneria genetica è contro natura, dobbiamo combatterla!”. E in un certo senso avrei ragione. Mettiamo, tuttavia, che in quel momento io sia anche un passante, magari uno studente che abbia trascorso un paio di serate a discutere con gli amici circa il significato della parola “naturale”. Potrei avvicinarmi e fargli(mi) notare che il semplice fatto che una particolare cosa sia contro natura non dovrebbe condurre a considerarla automaticamente qualcosa di deplorevole, insidioso e ripugnante. Sosterrei che di certo alcune delle sue applicazioni lo sarebbero, allo stesso modo in cui alcune applicazioni dell’energia nucleare lo sono state. E quindi, insomma, il fatto che un particolare progresso tecno-scientifico vada a mutare le regole che fino a quel momento sono state da tutti considerate immutabili, non è una cosa negativa di per sé, ma solo nel caso in cui quel particolare progresso venga utilizzato in maniera non etica.

Continuerei sostenendo che la natura delle cose, fin dal primo momento in cui l’uomo ha iniziato a costruirsi il suo habitat, ha smesso di essere statica. Diecimila anni fa la pratica di utilizzare i semi raccolti da terra per piantali in un terreno controllato e a portata di mano, era contro natura. Sono le consuetudini culturali – quello che oramai facciamo senza porci problemi – a delimitare la zona di ciò che siamo soliti considerare naturale. E i confini di questa zona non hanno mai smesso di allargarsi. I primi chopper realizzati dalla specie homo oltre 2 milioni di anni fa non erano nulla di così differente dai bastoni raccogli-insetti utilizzati dagli scimpanzé per dare l’assalto ai formicai: i membri di nessuna delle due specie sembravano cogliere l’utilità di fabbricarsi attrezzi riutilizzabili da poter tenere a portata di mano, e quindi finivano per adoperarsi a ricostruire tali oggetti ogni volta che ne avevano bisogno. Certo il rituale umano per l’affilatura dei chopper e la successiva scuoiatura della preda aveva una dimensione sociale assente nella ricerca del bastoncino più adatto ad opera degli scimpanzé, ma entrambi tali pratiche erano parenti, rappresentavano un primo contatto tra “natura” e “cultura”. L’istinto esplorativo dei primati aveva condotto certi individui ad imbattersi per caso in una serie di potenziali novità comportamentali che, se proficue, venivano apprese per imitazione, e diventavano proprietà stabili del gruppo prima, della specie poi. Il punto è che sia l’istinto esplorativo sia la capacità di imitazione sono proprietà cognitivo-comportamentali evolutesi per selezione naturale in un ambiente naturale su esseri naturali. Per cui i chopper sono a tutti gli effetti oggetti naturali. Il passo è breve dai chopper alle collane di conchiglie barattate tra le tribù di cacciatori-raccoglitori. Un po’ meno breve è lo scarto concettuale tra la collana di conchiglie fatta a mano e quella prodotta su scala industriale (anche se, temporalmente, il tempo passato è da considerarsi ancora minore), ma riflettendoci sopra non è difficile arrivare a riconoscere che il gradino che separa l’artigianato dall’industria non è in realtà un gradino ma una dolce salita: l’evoluzione culturale e tecnologica che era iniziata con la sedimentazione delle informazioni riguardanti il chopper nella mente collettiva umana col tempo era arrivata a produrre una massa critica di conoscenze tale da permettere la nascita di un nuovo paradigma manifatturiero. Negli ultimi anni stiamo assistendo all’avvio de successivo cambio di paradigma, grazie alla stampa 3D: nel momento in cui sarà possibile stampare qualsiasi oggetto partendo da qualsiasi materiale grazie alla riorganizzazione della sua struttura molecolare (una stampa 3D nanotecnologica) saremo giunti in cima al gradino successivo. Ora, chiunque voglia porre una linea di separazione lungo il sentiero che ha condotto la specie umana a sviluppare mouse partendo da amigdale, si faccia pure avanti. A me il percorso evolutivo della nostre specie – biologico prima, culturale poi – appare come un continuum assolutamente non scorporabile. Tutto è naturale o tutto non lo è, non ci possono essere vie di mezzo.

evolutionfNotate qualcosa di simile?

Qui diventa chiaro che osteggiare un cambiamento sociale, o culturale, o scientifico sulla base della sua presunta innaturalità non è altro che un modo per camuffare le inquietudini che tale cambiamento suscita in noi. Solo che a reagire così non ci guadagna nessuno: non fa bene a noi stessi, che nascondendo le paure sotto al tappeto invece che affrontarle razionalmente incorriamo in una fastidiosa dissonanza emotiva; non fa bene a quella scienza che cerca di trovare applicazioni utili delle nuove tecnologie, che si vede osteggiata e deprivata di vitali finanziamenti; non fa bene ai ricercatori e agli innovatori che diventano una categoria umana stigmatizzata.
Lo scrittore di fantascienza Douglas Adams una volta ha dichiarato: “Ho trovato tre regole che descrivono le nostre reazioni alla tecnologia: 1. Qualunque cosa esiste quando nasciamo ci pare normale e usuale e riteniamo faccia per natura parte del funzionamento dell’universo;  2. Qualunque cosa sia stata inventata nel ventennio intercorso tra i nostri quindici e i nostri trentacinque anni è nuova ed entusiasmante e rivoluzionaria e forse rappresenta un campo in cui possiamo far carriera; 3. Qualunque cosa sia stata inventata dopo che abbiamo compiuto trentacinque anni va contro l’ordine naturale delle cose.”
Sono tutti sentimenti comprensibili. Il guaio sopraggiunge quando le persone si lasciano sopraffare delle proprie inquietudini e guidate da esse vanno alla ricerca di motivazioni per rifiutare determinata scienza su basi solo fintamente razionali. È un terreno fertile per gli allarmismi compulsivi attorno a quelle che spesso sono bugie ben confezionate. Balle sulla nocività degli OGM, sull’efficacia dell’omeopatia, sulla salutarità di una dieta vegana attecchiscono negli individui che hanno paura delle novità proposte dal progresso e del modo in cui la società e la politica faranno uso di tali novità. E la paura nasce dall’ignoranza.

Una volta conclusa la discussione sull’infondatezza delle critiche di principio costruite attorno agli argomenti dell’innaturalezza, il discorso sugli OGM sarebbe da considerare praticamente concluso. I prodotti transgenici potranno anche essere una novità (non lo sono, dal momento che contaminazioni genetiche avvengono continuamente in natura, e che gli incroci tra specie vegetali sono alla base stessa del concetto di agricoltura), ma questo fatto non dovrebbe allarmare nessuno. Certamente una particolare semente transgenica potrebbe generare vegetali dannosi per la salute, e proprio per questo verrà testata la sua tossicità, ma non c’è nient’altro: un prodotto OGM che abbia superato i test (anche quelli relativi la fecondità e le conseguenti possibilità di infestazione), sarebbe da considerarsi buono tanto quanto uno non transgenico, se non migliore. E il dibattito dovrebbe chiudersi qui. Purtroppo esistono alcune persone a cui le normali evidenze non bastano, e che vorrebbero che ogni teoria di complotto esse siano in grado di partorire, ovviamente senza possedere alcuna prova concreta, venga presa in considerazione pubblicamente e analizzata; il problema è che queste teorie, questi insiemi confusi e spesso contradditori di dati manipolati, fantasie e chiacchiere, sono esseri mitologici a più teste in grado di rigenerarsi e crescere su sé stessi. Una volta inghiottiti dall’idra, anche se fossimo in grado di mozzarle la testa dall’interno ci ritroveremmo un attimo dopo con due teste da fronteggiare.

Dunque, vediamo, da un lato c’è una risma di ambientalisti che rifiuterebbero gli alimenti transgenici e osteggerebbero il frutto dell’agricoltura intensiva a favore di prodotti “bio” e di vegetali “a chilometro zero”. Mi piacerebbe vedere la faccia di questi individui nel caso essi venissero informati degli sprechi di spazio e di risorse utili a far consumare loro prodotti biologici. Diciamolo chiaramente: l’agricoltura intensiva, che utilizza sementi resistenti ai parassiti e fertilizzanti chimici è in grado di produrre rese decine di volte superiori, utilizzando meno spazio e arricchendo il terreno invece che impoverirlo. Più inquinanti e più costosi, i prodotti dell’agricoltura biologica rappresentano un lusso che si possono permettere solo gli occidentali. Almeno, sono più sani? Certo che no, sono ugualmente sani degli alimenti normali. Sono più gustosi allora? Tutto da dimostrare, e anche se lo fossero, allora, caro il mio ambientalista, dovresti smettere di atteggiarti a salvatore della patria e ammettere che sacrificheresti l’ambiente per il tuo palato, e non viceversa.
Almeno gli alimenti bio, per quanto dannosi per l’ambiente, sono edibili. La medicina alternativa, al contrario, non riempie la pancia e non risolve problemi: non è medicina, ma qualcosa di più simile all’alchimia. Già il termine stesso “alternativo”, che pare tanto chic, nasconde un pozzo di ignoranza circa i metodi della scienza vera, ufficiale. Con “alternative” i guru delle cure new age indicano precisamente quel genere di terapie che sono state rifiutate dalla comunità scientifica in peer review in quanto non validate. Che tradotto significa che non funzionano. I test effettuati suoi rimedi omeopatici hanno prodotto risultati generalmente concordi: l’omeopatia non è nulla di più che un placebo. Questo significa che presi due gruppi casuali di pazienti malati, ugualmente promettenti e con la malattia al medesimo stadio, il gruppo trattato con il farmaco mostrava GLI STESSI miglioramenti di chi veniva trattato con un placebo. Alcuni trial si sono rivelati a favore dell’omeopatia, questo è vero, ma ad un ulteriori analisi i loro metodi si sono dimostrati confusi o carenti, come ben spiega Ben Goldacre nel suo “Bad Science”. C’era da aspettarsi che il concetto new age della memoria dell’acqua non superasse la prova sperimentale. Forse tutti non lo sanno ma la preparazione teorica di una cura omeopatica consiste nel disciogliere un cc di principio attivo (ad esempio l’arnica) in un litro d’acqua, quindi prendere un cc della soluzione e inserirlo dentro un altro litro d’acqua, e prendere un cc di quest’altra soluzione per metterlo in un litro d’acqua: così per 30 volte, o per 100, a differenza del genere di diluizione. Ben Goldacre ha fatto due calcoli, scoprendo che una soluzione a 30c corrisponde a circa una molecola di principio attivo in una sfera d’acqua di diametro pari alla distanza tra la terra e il sole. Un misurino di tale sfera ha ben poche possibilità di contenere la molecola, concorderete: infatti una medicina omeopatica è fatta solo di acqua. Che poi secondo certi ciarlatani questa acqua abbia memoria del principio attivo e porti benefici all’organismo è una questione totalmente a-scientifica che non trova alcun riscontro in nessun genere di dato i nostro possesso. Cioè è una scemenza. In ogni caso le sperimentazioni hanno dato risultati ben precisi, come scrivevo sopra: l’omeopatia non è nulla di più che un placebo.

dilution

Di fronte a tali conclusioni un individuo razionale a favore della medicina alternativa ammetterebbe la sconfitta. Ma gli omeopati sono esseri irrazionali incapaci di accettare l’infondatezza del proprio punto di vista; e allora si rifugiano nel ventre dell’idra, invocano la corruzione del mondo scientifico e si mettono a costruire nuove improbabili congiure ai loro danni. E qui sta il punto. Le fantasiose confabulazioni che tali individui mettono in atto per sentirsi vanamente al sicuro sono solo il sintomo del loro malessere, un malessere che deriva dalla paura per quello che non conoscono, ovvero il mondo della ricerca di cui si parlava ad inizio articolo. A sua volta l’ignoranza è stimolata dalla paura, perché genera chiusura, rifiuto e disinformazione. Il circolo a feedback che si crea è molto resistente, e per spezzarsi necessiterebbe di quelle campagne di informazione e sensibilizzazione scientifica che i nostri media puntualmente fanno di tutto per ostacolare – come è successo con la manifestazione a Montecitorio del 19 settembre. Invece che fare divulgazione seriamente, cosa faticosa e rischiosa, molti  giornali e televisioni inseguono facili consensi, bloccando il flusso di informazione che proviene dai laboratori e della saggistica di settore e dando spazio a facili pettegolezzi. Questo comportamento è pericoloso: individui normalissimi che cercano di informarsi possono cadere in trappola sedotti dal nichilismo che contraddistingue la mentalità complottista; e, dal momento che tutti tendiamo a selezionare i dati con cui veniamo a contatto in maniera da non mettere a rischio le nostre credenze, una volta finiti nel vortice della disinformazione facciamo fatica ad uscirne.

Il consiglio che posso dare a tutti è di non accontentarsi dei termini vaghi e dei fatti annacquati che presenta la televisione o che vi sussurra all’orecchio un conoscente. Non assorbite passivamente, ma siate attivi. Ascoltate criticamente quel che vi dicono personalità autorevoli e sintetizzate il punto di vista di riviste specialistiche insieme alle considerazioni degli articoli di divulgazione. Non ignorate i lupi di mare ma siate aperti alle innovazioni della nuova generazione. Non abbiate paura delle novità. Wikipedia non sarà affidabile al 100% ma al 99% sì, per cui è un buon punto di partenza, specie se sapete leggere le note e utilizzare la sua sezione bibliografica. Non dubitate mai della scienza, ma solo delle persone: solo la scienza sa offrire al tempo stesso dati precisi, riflessioni ponderate e mediazioni tra punti di vista differenti. E badate, essa non parlerà mai per assolutismi. Diffidate sempre da chi parla per assolutismi.

Image3A differenza dei sostenitori della pseudoscienza,
che sono perlopiù isterici e intrattabili, chi fa scienza sa
avere anche senso dell’umorismo.

Un po’ di dati a supporto delle mie affermazioni
Sterminata raccolta di articoli circa l’utilità e la non nocività degli OGM:
http://havenforus.wordpress.com/ogm-si-grazie/
Obiezioni di principio all’omeopatia: http://www.dcscience.net/Smith-response.pdf
Rassegna dei risultati ottenuti nei trial clinici circa l’efficacia dei farmaci omeopatici: http://www.omeopatia.org/download/tesi_giovanni_benato_rassegna_degli_studi_clinici_in_omeopatia.pdf
Articolo sul blog de “Le Scienze” prima che il metodo stamina venisse sottoposto al comitato scientifico internazionale e bocciato: http://cattaneo-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/05/16/i-troppi-interrogativi-sul-caso-stamina/

Bibliografia
Ray Kurzweil, The Singularity is Near, 2005
Ben Goldacre, Bad Science, 2008
Philip Ball, Unnatural, 2011
Steven Johnson, Where Good Ideas Come From, 2010
Matt Ridley, A Rational Optimist, 2012

Una risposta a “Informare sulla Disinformazione

  1. un po’ lungo, ma chiarisce cos’è e come viene fatta disniformazione, utile per discernere le falsità dalla realtà, bell’articolo

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